Il direttore generale del Censis: i giovani industriali fanno fatica a ricevere prestiti dalle banche
ROSARIA TALARICO
ROMA
G iuseppe Roma, direttore generale del Censis, uno studio di Bankitalia mostra come la ricchezza dei 10 più ricchi d’Italia è pari a quella totale di tre milioni di poveri.
«Le diseguaglianze sono un grande tema dei nostri tempi. Ma senza fare stupido moralismo, la prima diseguaglianza è tra chi paga le tasse e chi no. La ricchezza nascosta è quella che crea più squilibri. Il problema dell’Italia è che non ci sono ricchi perché non produciamo più, abbiamo rallentato l’espansione verso il benessere. Mentre generiamo ricchi anti-sociali, che non hanno meriti a differenza di miliardi come Steve Jobs o Bill Gates che i soldi li hanno fatti perché sono stati geniali. Altra cosa è essere stati furbi».
Negli Usa, patria di Jobs e Gates, quanto a disuguaglianza va peggio.
«Sì, da noi le disuguaglianze sono minori dell’11% rispetto agli Usa. Il nostro livello di disuguaglianza è pari a quello di Giappone e Regno Unito, mentre è superiore del 15% a Germania e Francia e del 35% alla Danimarca. Ma sistemi capitalistici come Giappone e Usa hanno una concezione diversa dall’Europa su conti pubblici e sviluppo: hanno più a cuore il fatto che gli ultimi vadano un po’ più avanti. Noi pensiamo che l’inflazione sia il male peggiore e che sia meglio rimettere a posto i conti».
Ma la sperequazione è soprattutto nella possibilità di accumulare un patrimonio.
«Infatti la prima diseguaglianza è quella generazionale, non quella reddituale. I giovani che hanno difficoltà a entrare nel mondo del lavoro sono quelli che non riusciranno a rifare un processo dia accumulazione patrimoniale. Ereditano la casa, magari. Ma non i risparmi che vengono usati per la spesa corrente. E un’azienda che intacca il proprio patrimonio se non trova idee nuove chiude».
Ma i dati mostrano come sia diffusa l’idea che il merito non sia determinante.
«Questo è un Paese che non consente di valorizzare qualsiasi forma di talento: intellettuale, negli affari o nella capacità di innovare. Bisognerebbe fare un decreto sblocca Italia, perché il canale personale è l’unica cosa che funziona. Il vero ricco che infastidisce è quello che non guadagna per merito o per inventiva ma perché vicino ai potentati politici».
Eppure l’80% degli imprenditori ha avviato da solo la propria azienda.
«L’Italia è un Paese di imprenditori, di gente che s’è fatta da sé ma negli anni 60 e 70: sono sempre quelli lì. L’imprenditorialità giovanile è in calo. Solo parzialmente attutita dal fatto che ci sono molte imprese di stranieri. E non perché ci sia meno spirito d’iniziativa. Bisogna fare una banca per i giovani per finanziare il lavoro autonomo. Parlare di flessibilità in entrata o in uscita è solo ingegneria istituzionale, senza confronto con la realtà: vogliamo lavoro dipendente precario in un’economia che non lo chiede. Bisogna invece aumentare la produttività».
In cosa le differenze con gli altri paesi sono maggiori?
«Nell’affidabilità. Un altro aspetto che riguarda lo sviluppo è quello della certezza delle regole. Se faccio un investimento a 15 anni e dopo due cambiano le norme del settore non va bene. Questa è l’affidabilità del Paese? C’è poi un’ulteriore disuguaglianza».
Quale?
«L’Italia ha una grande disuguaglianza di tipo geografico, tra il Nord e il Sud del paese. Come la Germania ce l’ha tra Est ed Ovest. Ci sono fattori di carattere ambientale e storico che incidono in maniera preponderante».