ROSARIA TALARICO
ROMA
L?esercito degli sfiduciati italiani è il più  numeroso d’Europa. Nel nostro Paese il numero di «scoraggiati» (come  l’Istat definisce coloro i quali non hanno un lavoro né lo cercano  più) è pari alla metà europea. A dirlo è un nuovo rapporto Eurostat.  Nell’Europa a 27 ammontano a 8 milioni 250 mila coloro che non  cercano un impiego, ma sono disponibili a lavorare (3,5% della forza  lavoro). E l’Italia è il Paese con il più alto numero: ne conta ben  2,7 milioni (l’11,1% della forza lavoro). Vuol dire che è italiana  quasi una persona su tre senza più speranza di trovare impiego. Se  poi si restringe lo sguardo ai soli paesi dell’area euro, il numero  di chi è disponibile a lavorare ma non cerca più è di 5,5 milioni e  uno su due è italiano.
Tra i Paesi con le percentuali più alte di  «senza speranza» ci sono Bulgaria (8,3%) e Lettonia (8,0%). Mentre  Stati come Belgio (0,7%), Francia (1,1%) e Germania (1,3%) vantano le  quote minime, che evidenziano come, nonostante la crisi, in questi  Paesi il mercato del lavoro è ancora in grado di dare speranza a chi  è senza occupazione. Prova a dare una spiegazione tecnica  l’economista Irene Tinagli: «In molti paesi europei esistono sussidi  alla disoccupazione che prevedono che si abbia un ruolo attivo nella  ricerca del lavoro e obbligano ad essere iscritti nelle liste. Quindi  è fisiologico che le quote siano più basse. In Italia non è così ed  anche per questo abbiamo più sfiduciati e meno disoccupati, a  differenza della Spagna ad esempio».
Bruno Manghi, sociologo ed ex  sindacalista della Cisl, invita invece a considerare come questo sia  un effetto della crisi che «morde dove c’è operosità. È scontato che  la quota di scoraggiati sia a Catanzaro, meno che sia a Varese o  Novara. L’aggressività della crisi si vede proprio dal fatto che  tocca i posti dove un tempo le imprese si contendevano i lavoratori».  Manghi invita anche a usare cautela verso «queste fotografie  statistiche che sono valide in un dato momento. Quel che non sappiamo  è la cronicizzazione. Se chi è scoraggiato resta in questa situazione  più di un anno siamo di fronte a un problema sociale molto grave, se  invece c’è una rotazione è diverso. Quel che conta nella  disoccupazione è la lunga durata». Per Manghi, però, «la condizione  materiale tra noi e l’Europa non è così dissimile. In paesi virtuosi  come la Germania c’è un numero straordinario di part-time a basso  reddito (400 euro al mese) che fa emergere una quota che da noi va  invece verso il sommerso. È quella la differenza sostanziale,  l’arrangiarsi non regolare». Sulla stessa linea l’economista Stefano  Zamagni: «L’economia sommersa in Italia vale 270 miliardi l’anno, una  cifra enorme. Oltre questo problema, bisogna pensare a cambiare il  modello di organizzazione delle imprese. Il taylorismo è finito. Oggi  non basta più un capo che pensa, ma devono farlo tutti. E ciò è  possibile solo se i lavoratori sono trattati come persone e non come  merci. Bisogna recuperare la lezione dell’economista inglese Alfred  Marshall: «L’impresa deve essere un luogo di formazione del carattere  umano».
Per quanto riguarda gli scoraggiati la spiegazione di  Zamagni è da economista puro: «Cercare lavoro comporta delle spese,  il cosiddetto costo di transazione, che razionalmente si decide di  non sostenere più nel momento in cui la probabilità di avere un  lavoro è molto bassa».
I ?senza speranza? in Europa sono 8 milioni: uno su tre è italiano L?impietoso quadro del rapporto Eurostat vede l?Italia all?ultimo posto nella Ue
Pubblicato
in
da
Tag:
Lascia un commento