Il governo fa marcia indietro sulle spiagge
ROSARIA TALARICO
ROMA
Alla fine erano tutti scontenti. Gli ambientalisti perché paventavano i disastri della cementificazione e della consegna ai privati (per 90 anni, poi abbassati a 20) di un bene pubblico come la spiaggia. I gestori degli stabilimenti balneari perché con il meccanismo delle aste rischiavano di veder sfumare (per chi li aveva fatti) gli investimenti già fatti. Così è stato raggiunto l’accordo bipartisan che azzera le grane e accontenta tutti: un emendamento al decreto sviluppo approvato ieri ha cancellato la norma. È stato il Pd a presentare in commissione Bilancio e finanze della Camera gli emendamenti soppressivi. Ma la partita non è ancora chiusa poiché, come ha spiegato il presidente della commissione, Gianfranco Conte, la materia dovrà essere disciplinata con altro provvedimento; sarà probabilmente la prossima legge comunitaria, visto che proprio sul tema delle concessioni l’Italia rischiava una procedura di infrazione. La misura dovrebbe prevedere il diritto di superficie per un massimo di 40 o 50 anni (il decreto ne prevede 20) e la chiusura dell’infrazione sulla direttiva Bolkestein con la soppressione delle norme del codice della navigazione che stabilivano l’affidamento diretto e il rinnovo automatico delle concessioni demaniali, invece delle gare chieste dalla Ue. Quanto alla tempistica, il disegno di legge comunitaria «sarà esaminato dalla Camera a fine mese e sarà forse possibile il via libera definitivo del Senato, in terza lettura, prima della pausa estiva dei lavori parlamentari», sostiene Gianluca Pini (Lega), relatore del provvedimento.
Lo stop alla norma ha fatto registrare un plauso unanime da parte di maggioranza, opposizione, associazioni di categoria e dei consumatori. «Il vecchio decreto rappresentava un’aberrazione giuridica che non accontentava nessuno – sostiene Sebastiano Venneri di Legambiente – né gli imprenditori che hanno rischiato di venir scalzati dai grandi speculatori del settore, né cittadini e turisti, che venivano di fatto privati del diritto di fruire del bene pubblico per eccellenza». Il leader dei Verdi Angelo Bonelli sostiene che il rischio cementificazione resta perché «i commi 4 e 5 dell’articolo 3 del decreto prevedono, attraverso le zone a burocrazia zero, di edificare su spiagge ed arenili». Secondo i dati Unep (l’agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente) le spiagge italiane sono fra le più cementificate d’Europa, con il 60%. Per Vincenzo Lardinelli, presidente della Fiba (Federazione italiana balneari) la norma era «dannosa perché ogni lido sarebbe stato oggetto di un’asta, con il risultato che anche chi aveva costruito con fatica e passione un’impresa avrebbe rischiato di vedersela soffiata dal primo arrivato». Per questo i balneari hanno preferito ricominciare dall’inizio: «Servono nuove norme, questo è sicuro». La battaglia si è consumata soprattutto tra le fila della maggioranza: la Lega puntava a regolare la questione nel decreto Sviluppo, il Pdl voleva un provvedimento ad hoc sulla materia, attendendo l’esito del tavolo gestito dal ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto. Le fibrillazioni nella maggioranza non si fermano qui: ieri è scoppiata una bufera su un emendamento della Lega che prevede un bonus di 40 punti in graduatoria per gli insegnanti residenti nella provincia in cui vogliono lavorare, una situazione in cui si trovano più spesso quelli del Nord. Il leghista Mario Pittoni nega si tratti di una discriminazione, ma sulla proposta il governo e i relatori hanno rimesso il parere alla decisione dell’Aula, mentre l’opposizione la bolla come «incostituzionale».