Rosaria Talarico

"Natural born journalist"

mondo con mascherina
Immagine di Justin Peter

Quando è in crisi chi gestisce la crisi


 Sommario

1. Crisiko, il gioco delle emergenze

2. Sorpresi quanto (Con)te

3. Servizi segreti e decreti “annunciati”

4. Per un pugno di click

5. La scienza, questa sconosciuta

6. Quarantena e autocertificazione: efficacia a confronto

7. Migliorare è possibile

La paura ha due uscite: un egoismo più grande e un’apertura più radicale.

(Franco Arminio)

1. Crisiko, il “gioco” delle emergenze

Ho partecipato qualche anno fa a un’esercitazione di “emergenza nazionale“. Gli scenari di questo tipo di attività (su minacce ipotetiche, ma assolutamente realistiche) di solito non sono divulgati al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, proprio per non generare allarme ingiustificato. Il corso che ho seguito si chiama “Cocim” (nel linguaggio criptico militare vuol dire semplicemente “cooperazione civile-militare”) ed era organizzato dal Casd, il Centro alti studi per la difesa, il top dell’università in ambito militare. Alcuni di questi scenari si riferiscono al rischio Nbcr (altra sigla che riassume nucleare, biologico, chimico e radiologico) e di pandemie.

Le esercitazioni nonostante trattino argomenti serissimi e si svolgano con grande impegno dei partecipanti sono anche un luogo di ilarità e socializzazione informale, che è di grande aiuto. Perché nelle crisi a funzionare davvero è la fiducia, ma devi averla costruita prima della catastrofe. E la fiducia richiede tempo e frequentazione, comprensione delle rispettive esigenze, collaborazione nello scambio dei dati e conseguente capacità di assumere decisioni rapide. Tutti aspetti essenziali nel momento in cui una crisi esplode.

Se però non ti sei preparato PRIMA, è difficile correre ai ripari DOPO e non commettere errori spesso irreversibili. Questo tipo di corsi ed esercitazioni devono essere svolti con continuità per permettere di avere procedure sempre aggiornate e per andare incontro agli avvicendamenti di personale nei ruoli chiave. Dopo anni sono ancora in contatto con molti dei partecipanti. Avere dei piani di prevenzione o di emergenza e dimenticarsene equivale a non averne. Per questo il loro aggiornamento e ripasso deve essere costante.

Lo scopo delle esercitazioni è quindi molteplice:

  • testare la capacità di analisi degli eventi
  • valutare lo scambio di informazioni a livello istituzionale
  • monitorare il lavoro dei soccorritori (che rispondono in genere a catene di comando e organizzazioni diverse: esercito, Croce rossa, forze di polizia, vigili del fuoco)
  • smistare il flusso di informazioni tra centro e periferia
  • gestire la comunicazione verso l’esterno secondo precise regole e considerando l’impatto sui social network.

Oltre a questi obiettivi ce n’è un secondo fondamentale: permettere la conoscenza dei diversi soggetti istituzionali che si possono trovare intorno allo stesso tavolo per gestire le emergenze: quindi prefetti, protezione civile, personale della presidenza del Consiglio, giornalisti, appartenenti a forze armate e di polizia. Persone con background professionali ed esperienze personali molto differenti e tutti ugualmente preziosi, dall’ingegnere al comunicatore, dal sociologo allo psicologo, dal militare all’avvocato.

Perché le crisi richiedono sempre una gestione congiunta e multidisciplinare: il loro impatto è di solito su più settori. Ma provate voi a far ragionare insieme (o ancora peggio prendere una decisione) un ingegnere con uno psicologo o un militare con un giornalista. Per questo motivo nelle esercitazioni non si riveste il proprio ruolo abituale, ma si sperimenta quello a noi più distante o sconosciuto.

Mi ricordo per esempio un militare (aveva raccontato dei quotidiani problemi di relazione con le ong durante una missione all’estero) che ha rivestito alla perfezione il personaggio di un cooperatore, imitandone anche l’abbigliamento nonostante indossasse l’uniforme: cravatta in testa a mo’ di fascia e atteggiamento rilassato e poco marziale. A me, da sempre critica sulle lungaggini e la rigidità delle catene di comando militari, toccò fare il generale… L’obiettivo ovviamente non era suscitare l’ilarità del gruppo, ma aumentarne l’empatia e la comprensione delle diverse esigenze.

Le crisi possono avere poi ricadute a livello economico, sociale e nei rapporti internazionali, come purtroppo abbiamo sperimentato.

2. Sorpresi quanto [Con]te

Ho qualche dubbio che Giuseppe Conte con il suo rispettabile background giuridico e di professore di diritto o Rocco Casalino (l’unica sua attività di “contenimento” nota è il Grande fratello) o Luigi Di Maio o Roberto Speranza posseggano una formazione specifica o abbiano mai preso parte a una di queste attività. Andrebbe ancora bene se nello staff di cui dispongono ci fossero persone formate in tal senso. Vedendo gli effetti scomposti e contraddittori della loro comunicazione verrebbe da pensare proprio di no.

E siccome sono figure pubbliche, pagate con soldi pubblici e deputate a gestire la salute pubblica, una valutazione sul loro operato si impone. In genere si usa anche un certo rispetto per chi è impegnato a gestire la crisi, poiché tutto l’interesse deve essere concentrato nella sua soluzione e non nella critica. Ma in questo caso purtroppo aspettare potrebbe essere un danno per tutti.

In situazioni di emergenza la comunicazione è un tutt’uno con la gestione della crisi, soprattutto quando ha ricadute su tutta la popolazione, l’economia, il sistema Paese e i suoi rapporti internazionali. Farlo notare non è uno sterile esercizio accademico o una posa da commentatori sfaccendati che giudicano dal divano di casa.

Purtroppo gli errori gravissimi già fatti nella gestione e nella comunicazione relativa al contagio sono irreparabili e portatori di conseguenze per il Paese. Non si può aspettare che passi la crisi per analizzare il problema, ma chi è responsabile degli errori va allontanato subito dal ruolo ricoperto finora e sostituito con profili professionali di spessore e formati sulla comunicazione di crisi. Qualsiasi ulteriore ritardo in questo senso sarà fatale. Inoltre non è pensabile che comportamenti così gravi non vengano sanzionati per le ricadute sulla salute pubblica e la tenuta stessa del Paese. Le istituzioni sono l’unico baluardo, non è pensabile usarle per propri fini personali o di carriera. Ancora di più nel mezzo di un’emergenza sanitaria globale.

E lo dico alla luce di precisi comportamenti e dichiarazioni. Ad esempio, all’esplodere del problema Conte dichiarò di essere “sorpreso dall’aumento dei contagi. Ma forse è dovuto ai controlli più accurati che facciamo”. Un presidente del Consiglio non può essere “sorpreso, visto l’apparato informativo di cui dispone (servizi segreti inclusi). E se anche lo fosse (non essendo un epidemiologo) di certo in alcun modo può dichiararlo ai mass media. Se è sorpreso lui, figuratevi la sora Maria. Si può comprenderlo umanamente, ma diventa intollerabile per il ruolo che ricopre.

3. Servizi segreti e decreti “annunciati”

A proposito di servizi segreti, visto che sono presenti in tutto il mondo e specie in Cina, centro di imprese e di flussi di commercio globali: nessun loro funzionario ha avvisato il suo Paese su rischi concreti e dimensioni reali dell’epidemia PRIMA che diventasse di dominio pubblico? L’Italia ha avuto un discreto tempo di “vantaggio” per strutturare una task force e selezionare chi dovesse farne parte e prepararsi al meglio all’emergenza. A quanto pare non è stato sfruttato a sufficienza o non sono stati tenuti in debita considerazione (per calcolo politico? per ignoranza? per sottovalutazione?) i consigli degli esperti. In ogni caso bisognerebbe dare conto del ritardo.

Ancora più gravi sono stati gli annunci contraddittori sulla chiusura delle scuole e l’istituzione della zona rossa e di limitazione della mobilità dei cittadini dati PRIMA della loro ufficializzazione in un decreto. Per molte ore è circolata una bozza. Cosa che non sarebbe MAI dovuta accadere e di cui ancora ignoriamo le ricadute, dato il consistente numero di persone andate nelle regioni del Sud finora indenni. Una gravità che nelle ricostruzioni disponibili non ha portato alle dimissioni del o dei responsabili. Un atteggiamento incomprensibile e irresponsabile. Ancora di più perché le motivazioni tutt’altro che nobili sono da ascrivere alla sfera della “visibilità” e del tornaconto politico personale. A spese della sicurezza e dell’ordine pubblico. Assolutamente irrituale poi la conferenza stampa di Conte convocata alle 2.30 di notte per stigmatizzare la fuga di notizie cercando piuttosto vilmente di allontare la colpa dalla presidenza del Consiglio…

Alcune ricostruzioni si possono trovare su Il Riformista e Linkiesta. Un caos dato dall’assenza di un coordinamento, da una catena di comando che si disperde nei meandri di 21 regioni e dall’assenza di una voce univoca nella comunicazione, che non è una scelta opinabile ma un pilastro basilare della crisis communication che richiede catena corta di comando, autorevolezza e chiarezza.

Invece hanno parlato tutti e più o meno a casaccio: ministri, governatori delle regioni, medici che danno bollettini di singoli ospedali prima di avere i tamponi validati dallo Spallanzani… A ciò si aggiunga una protezione civile ridisegnata rispetto ai tempi di Bertolaso, al cui vertice è stato messo un commercialista, ferrato su amministrazione e contabilità da quel che risulta dal suo cv.

Scenari che chi ha invece dimestichezza con i numeri, a differenza dei politici, non aveva grande difficoltà a prevedere: “È ragionevole aspettarsi che i governi imporranno vincoli più severi (*Aggiornamento: Il 7 Marzo il Governo Italiano ha adottato alcuni provvedimenti importanti in questa direzione.) sulla mobilità delle persone nel tentativo di ridurre la R0 [in sostanza il numero che ci dice quanto il virus si propaga]. Le misure pratiche che dovranno essere prese sono il risultato del compromesso tra i danni economici causati dalle politiche di contenimento (come la mancanza di produttività) e i danni economico-sociali che accadranno nel caso in cui non verrà effettuato alcun contenimento (sistema sanitario sovraccaricato, persone deboli e anziane in grave pericolo). È tuttavia importante considerare non solo le ripercussioni economiche, ma il bilancio in termini di sofferenza e vite umane”.

Interessante anche questa analisi.

4. Per un pugno di click

Dalla comunicazione istituzionale più o meno di crisi passiamo ai giornalisti. Ho avuto delle discussioni surreali con alcuni colleghi per la situazione di grave limitazione della libertà personale. Bisognerebbe rendere chiaro (e a quanto pare non lo è), che la quarantena non è una misura dittatoriale, ma sanitaria. Efficace solo se rigida. Al momento in Italia questa rigidità non si è vista, per indole e cultura nazionale. La quarantena non c’entra con la democrazia. È una procedura sanitaria ed essendo al momento l’unica (non esistendo ancora farmaci o vaccini) deve essere applicata a ogni costo. E se manca il senso civico intervenga l’esercito, come già accaduto nella ex zona rossa. Infatti lì si comincia a registrare un calo dei contagi, come accaduto anche in Cina.

I giornalisti nella bramosia di dare notizie (assolutamente legittima se serve per informare in modo responsabile durante un’emergenza) nella fase iniziale della crisi hanno invece alimentato allarmismo, secondo me senza molto riguardo per la deontologia, perché a fronte di colleghi che lavorano con scrupolo e coscienza, nelle tv e su internet si è assistito a una conta di morti e contagiati aggiornata minuto per minuto che ha un bassissimo valore informativo, ma un alto impatto in termini di share e visualizzazioni. E ovviamente alimentando il panico. Non solo. Ha avuto un impatto anche sulla nostra immagine all’estero, aspetto di cui nessun singolo giornalista si è curato, ma che nell’insieme ha contribuito alla narrazione di italiani appestati e incompetenti. E siamo stati direttamente noi a fornirla. È utile e costruttivo rifletterci su temepstivamente?

5. La scienza, questa sconosciuta

Su Lancet, una delle più prestigiose riviste di medicina del mondo, un articolo (in inglese) dal titolo eloquente “Troppo tardi, troppo poco” stigmatizza proprio la lentezza della risposta dei leader politici “che dovrebbero certamente muoversi più rapidamente e con maggiore aggressività”. Mettendo da parte anche le valutazioni sull’impatto economico: “le prove suggeriscono che i colossali sforzi sulla saluta pubblica del governo cinese hanno salvato migliaia di vite. I Paesi più ricchi e sviluppati che stanno fronteggiando adesso i loro focolai devono assumersi rischi ragionevoli e agire con maggiore decisione. Devono abbandonare le paure sulle conseguenze sociali ed economiche negative a breve termine che derivano dalla restrizione delle libertà fondamentali che sono parte di misure di controllo dell’infezione più risolute”.

In linea con quanto dichiara a La Stampa Walter Ricciardi, di cui vi invito a leggere il cv e seguirlo su Twitter: «Chi ragiona così non sa che un virus di questo tipo può espandersi senza trovare resistenze, perché manca un vaccino e perché essendo nuovo tutta la popolazione è sprovvista di anticorpi per fronteggiarlo». Ma espandersi quanto? Le curve dei grafici elaborate dagli epidemiologi, non solo in Italia, dicono fino a colpire il 60% della popolazione, che osservando gli attuali tassi di letalità significherebbe contare oltre un milione di morti e mandare a tappeto i nostri ospedali, che con così tanti accessi non sarebbero più in grado di curare né i malati di coronavirus né quelli con altre gravi patologie, che non vanno in sciopero. Gli esperti del comitato tecnico-scientifico sanno che in tutta questa settimana ci sarà ancora una forte crescita dei casi. Però quei modelli previsionali, basati su formule matematiche, dicono anche che tra otto giorni, potremmo toccare il picco epidemico, dopo di che la curva dei nuovi contagi potrebbe finalmente iniziare a scendere se gli italiani si atterranno alle disposizioni di governo e scienziati”.

Non sono stati neanche in grado di scrivere correttamente il nome del virus nell’ultimo decreto: “allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19”. Come mi segnala Mirko Ridolfi: “COVID-19 non è il nome del virus. Quell’acronimo significa COronaVIrusDisease-[20]19 ovvero “malattia da coronavirus scoperta nel 2019”. Il virus, giusto per la cronaca, si chiama SARS-CoV-2 ovvero “Severe Acute Respiratory Syndrome CoronaVirus La Vendetta”.

6. Quarantena e autocertificazione: efficacia a confronto

Nel decreto si parla poi di “comprovate necessità” per spostarsi: la vaghezza italiana è tutta un programma, con un elenco sempre pronto di eccezioni alla regola… Potrebbe essere uno spunto di satira, se non si fosse immediatamente tradotto in una richiesta angosciata di chiarimenti. Con un decreto ben scritto e una comunicazione adeguata non sarebbe stato necessario il follow up, fonte di angoscia e ulteriori fraintendimenti.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

E poi c’è lei, la regina della burocrazia nostrana: l’autocertificazione. Fossi il corona virus mi metterei tanta, tanta paura di fronte a un modulo.

Purtroppo oltre a sbagliare il nome del virus, è successo di peggio:

  • seminato il panico annunciando provvedimenti importanti prima che fossero ufficiali
  • lasciata alle regioni la possibilità di dare numeri non verificati e comunque privi di senso senza un valore di riferimento
  • assaltati supermercati e treni, per colpa di una comunicazione catastrofica
  • esaurimento da giorni di mascherine e disinfettanti (che mancano a chi ne ha davvero bisogno)
  • borsa crollata i minimi storici e ripercussioni economiche per le aziende
  • gravissimi episodi di rivolte nelle carceri con addirittura decine di evasi e di morti.

Le crisi hanno un effetto domino quasi impossibile da arginare se si sbaglia nelle fasi iniziali.

7. Migliorare si può

Chiudo con un briciolo di ottimismo: un esempio di efficienza all’estero (certo in un Paese piccolo e all’avanguardia come Singapore, ma non dovremmo forse copiare dai migliori?)

Il resto lo fa la folla, anche quella virtuale e invisibile dei social network. I governi hanno a che fare “con una potenza nuova, la più recente sovrana dell’età moderna: la potenza della folla, dove le attitudini coscienti, razionali e intellettuali dei singoli individui si annullano, e predominano i caratteri inconsci. Si scende di parecchi gradini nella scala della civiltà. Isolato, era forse un individuo colto; nella folla è un istintivo, e dunque un barbaro. Ha la spontaneità, la ferocia, e anche gli entusiasmi e gli eroismi degli esseri primitivi”.

A scriverlo non è un esperto di social media, ma un medico eclettico con interessi che spaziavano dall’antropologia all’equitazione. Si tratta di Gustave Le Bon, nato a metà Ottocento e morto ben prima che nascessero i social network, ma che nel libro Psicologia delle folle aveva intuito molto di ciò che oggi viviamo. La prossima volta assaltate le edicole o le librerie per leggere, invece dei supermercati. Essere affamati di conoscenza non fa neanche ingrassare.

Rosaria Talarico

Rosaria Talarico

Giornalista professionista, è laureata in Scienze della Comunicazione presso l'Università La Sapienza di Roma con una tesi sulle tecniche di intervista. Collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani (L'espresso, La Stampa, Il Foglio, Il Corriere delle Comunicazioni, Economy) occupandosi di vari settori. Scrive articoli di economia, finanza, cronaca, politica, esteri, media e tecnologia. Nel 2007 ha vinto la sezione giovani del premio Ucsi (Unione cattolica stampa italiana) con il reportage sul precariato nel mondo della scuola pubblicato dal quotidiano La Stampa. In passato ha lavorato per Milano Finanza (Class Editori) e il settimanale Il Mondo (Rcs), nelle redazioni di Roma e Milano. Nel 2008 ha fatto parte dell'ufficio stampa del Ministero dei Trasporti. In precedenza, sempre nell'ambito degli uffici stampa, ha lavorato per le Camere di commercio italiane all'estero e per la società aeronautica Aérospatiale Matra Lagardère Internationale (ora Eads).

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