Il parrucchiere “Cercansi shampiste ma disposte a imparare”
Shampiste? E’ odioso e stupido chiamarle così», dice Roberto D’Antonio, parrucchiere di dive del cinema e donne della politica, con atelier nel cuore di Roma. Per lui non è assolutamente difficile trovare personale. «Ci sono tanti giovani che vogliono fare questo mestiere che piace molto – dice -. Ma non c’è possibilità di formarli, perché ti costano troppo in contributi e hai vincoli sugli orari. Le leggi dovrebbero essere più a favore di chi dà lavoro». Forse non ha problemi perché il suo è ormai un salone ambito? «No – risponde – anche quando ero ragazzetto era la stessa cosa. Semmai i datori di lavoro sono stati sempre gelosi del loro mestiere, non hanno mai condiviso niente per paura che rubassero loro il mestiere. Non sono generosi a scopo difensivo. Ma i ragazzi non sono più disponibili al sacrificio. Pensano di poter fare i parrucchieri dopo un anno o due di scuola, non è così». Secondo D’Antonio «servirebbe più rigore e forse l’Italia l’ha un po’ perso. Mi sento spaesato quando leggo i curriculum che mi arrivano. Ragazzi che parlano 25 lingue e hanno studiato di qua e di là. Ma all’atto pratico cosa sanno? Non hanno umiltà, il modo, il tatto, la volontà e la capacità di capire. La tecnica senza l’arte è inutile». Quanto alle tanto vituperaste «shampiste» D’Antonio difende la professione: «Vanno difese. Perché chi fa lo shampoo deve avere venti doti in più di chi fa il taglio o la piega. Se non lavi bene i capelli, se non mi dai una testa curata dal tipo di shampoo che fai, tutto il resto è inutile». \