Rosaria Talarico

"Natural born journalist"

Ecco il modello di Copenaghen tutto flessibilità e sicurezza Più facile sciogliere i contratti, giudice solo per i casi disciplinari e discriminatori Ma ai lavoratori due indennità: una di preavviso e un’altra per la ricollocazione


A giudicare dal nome, parrebbe un’utopia: flexsecurity, ossia flessibilità e sicurezza unite in una sola parola e in un diverso sistema di concepire i contratti di lavoro. Eppure in alcuni Paesi (vedi Danimarca) è già una realtà. A provare a importare lo stesso sistema in Italia è stato Pietro Ichino, senatore del Pd, giuslavorista di fama e primo firmatario di un progetto di legge sul nuovo codice del lavoro semplificato. La proposta di riforma delle modalità di assunzione e, soprattutto di licenziamento, giace in parlamento da due anni. Ma in questi giorni è tornata di attualità perché velatamente citata nella lettera spedita da Silvio Berlusconi all’Unione Europea. Mentre ieri il premier ha chiarito che il riferimento era diretto proprio a quella legge.
Di cosa si tratta? L’idea è quella di coniugare il massimo possibile di flessibilità da parte delle aziende con il massimo possibile di sicurezza per i lavoratori. Più facile a dirsi che a farsi, con i sindacati sul piede di guerra non appena si parla di smantellare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che impedisce il licenziamento senza giusta causa. Il sistema danese avrebbe però degli indubbi vantaggi sia dal lato delle imprese che per i lavoratori eventualmente licenziati. Vediamo quali.
I contratti per i nuovi assunti (a esclusione di quelli stagionali o di formazione) sarebbero tutti a tempo indeterminato, ma con la possibilità di licenziamento senza intervento giudiziale, a parte i casi di licenziamenti disciplinari o discriminatori. Due i meccanismi di protezione del lavoratore: un’indennità di preavviso, a carico dell’azienda, pari a una mensilità di stipendio per ogni anno lavorato e un contratto di ricollocazione che garantisce un’indennità complementare di disoccupazione, sempre a carico dell’azienda, in aggiunta all’attuale indennità di disoccupazione, che dura al massimo un anno. In questo modo si arriverebbe al 90 per cento della retribuzione il primo anno, all’80, al 70 e al 60 per cento in quelli successivi. La percezione di questa indennità aggiuntiva sarebbe subordinata alla partecipazione a iniziative di riqualificazione e ricerca di un nuovo lavoro, organizzate da un’agenzia regionale appositamente creata e finanziata con il contributo del Fondo Sociale Europeo.
Il primo effetto sarebbe un comportamento più coscienzioso da parte dei datori di lavoro che rifletterebbero bene prima di licenziare e, nel caso, avrebbero tutto l’interesse a ricollocare quanto i prima i lavoratori per evitare di pagare l’indennità complementare (maggiore negli anni di disoccupazione successivi al primo). Dal lato dei lavoratori si avrebbe una drastica riduzione del precariato e della reiterazione di contratti a termine e una protezione maggiore per i lavoratori più anziani.
La reazione di Ichino all’investitura del premier, tanto più di valore visto che il senatore siede tra i banchi dell’opposizione, è stata misurata: «È un fatto molto importante che il governo sia finalmente entrato in questo ordine di idee. E non è certo il caso di recriminare per il fatto che ci sia arrivato solo ora, nonostante che il disegno di legge sia stato presentato ormai da due anni. Se questa ora è la linea del governo, che il ministro del Lavoro apra immediatamente un tavolo con le confederazioni sindacali e imprenditoriali per un esame serio della riforma». Altro punto a favore del progetto è che sarebbe a costo zero, grazie ai risparmi sulla cassa integrazione e alle modifiche nei meccanismi di contribuzione sociale. L’ipotesi però ha suscitato diversi pareri contrari, in primis da parte dei sindacati preoccupati dello sgretolamento dell’articolo 18. C’è poi una critica «geografica» di cui è difficile non tenere conto: la concreta applicabilità di questo meccanismo in Italia. Per cui è facile immaginarsi uno scenario con truffe per accaparrarsi le indennità più che i posti di lavoro, le agenzie regionali ingolfate da ricorsi e richieste fittizie di ricollocamento, il proliferare del lavoro nero. Perché, sarà scontato dirlo, l’Italia non è la Danimarca.

Rosaria Talarico

Rosaria Talarico

Giornalista professionista, è laureata in Scienze della Comunicazione presso l'Università La Sapienza di Roma con una tesi sulle tecniche di intervista. Collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani (L'espresso, La Stampa, Il Foglio, Il Corriere delle Comunicazioni, Economy) occupandosi di vari settori. Scrive articoli di economia, finanza, cronaca, politica, esteri, media e tecnologia. Nel 2007 ha vinto la sezione giovani del premio Ucsi (Unione cattolica stampa italiana) con il reportage sul precariato nel mondo della scuola pubblicato dal quotidiano La Stampa. In passato ha lavorato per Milano Finanza (Class Editori) e il settimanale Il Mondo (Rcs), nelle redazioni di Roma e Milano. Nel 2008 ha fatto parte dell'ufficio stampa del Ministero dei Trasporti. In precedenza, sempre nell'ambito degli uffici stampa, ha lavorato per le Camere di commercio italiane all'estero e per la società aeronautica Aérospatiale Matra Lagardère Internationale (ora Eads).

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