il caso Medici in campo da quarant?anni senza frontiere Msf celebra l?anniversario: ?Noi indipendenti dal denaro dei governi, è questa la nostra forza?
Basta il nome a dire tutto. Medici senza frontiere. Letteralmente. Una delle più grandi organizzazioni medico-umanitarie indipendenti presente in 90 Paesi e dovunque ci siano guerre o catastrofi naturali. A quarant’anni dalla fondazione (nel 1971, ad opera di alcuni medici e giornalisti francesi) Médecins sans frontières ha ormai un corrispettivo in ogni lingua (a cominciare dall’inglese, Doctors without borders) e 3 mila volontari in giro per il mondo. Fra questi gli italiani sono 340. In quarant?anni di attività Msf ha vinto anche il premio Nobel per la Pace. Ma soprattutto ha fornito assistenza medica, nel solo anno 2010, a 7,5 milioni di persone, ha realizzato più di 58 mila interventi chirurgici, ha assistito 10 mila donne vittime di violenza sessuale. Per celebrare questo compleanno è stato organizzato a Roma un convegno per fare il punto su «Teoria e pratica dell?azione umanitaria». Va detto che teoria dalle parti di Msf se ne vede poca. Ad Haiti – che rappresenta la più imponente operazione di Msf a livello logistico – sono stati eseguiti 17 mila interventi chirurgici, curati 91 mila casi di colera pari al 60% del totale, distribuite 46 mila tende da campo e via enumerando. Siamo lontani dal rischio paventato da Alexandre Liebeskind del Comitato internazionale della Croce rossa, che evidenzia come spesso le Ong (organizzazioni non governative) «pensino più a parlare, che a fare». Il colonnello Manlio Scopigno dello Stato maggiore dell?esercito ha l?arduo compito di difendere il ruolo delle forze armate dalle provocazioni della platea: «Se si sfila il filo della sicurezza tutto il resto, anche i soccorsi, diventa di difficile attuazione».
Kostas Moschochoritis, un ingegnere greco convertito al no profit e direttore generale di «Medici senza frontiere Italia», la vede diversamente: «La nostra vulnerabilità è la nostra forza. L’esempio dell’Afghanistan è illuminante. Le Ong che andavano scortate dall?esercito nell?illusione di avere così un accesso sicuro alla popolazione sono state tagliate fuori, perché identificate con la coalizione. Noi e la Croce rossa abbiamo continuato a lavorare in quelle aree. Ma dopo l?uccisione di cinque nostri operatori, ci sono voluti cinque anni per ritornare in Afghanistan».
Tutto ciò in ossequio al principio dell?indipendenza, che vuol dire curare un bambino così come un guerrigliero delle Farc colombiane. «È fondamentale non solo essere indipendenti, ma anche mostrare di esserlo. E per fare questo gli strumenti sono pochi, ma chiari. Innanzitutto l?indipendenza finanziaria: il 90% del bilancio è frutto di donazioni private, che garantiscono anche immediatezza agli interventi. Così non siamo costretti a seguire le agende politiche dei vari paesi. La prima cosa che ti chiede un gruppo armato è da dove prendi i tuoi soldi».