“Negozi di strada, offerte e onorari troppo bassi Non sono cose dignitose”
\ Gli avvocati sono pronti ad incassare la promessa di tornare alle tariffe minime, ma al ministro della Giustizia chiedono anche di accelerare la riforma del loro ordine. «Non possiamo aspettare il 2013» spiega Maurizio De Tilla, presidente dell’Organismo unitario avvocatura italiana.
Presidente, partiamo dalle tariffe. Perchè tornare al passato?
«La legge Bersani, che le aveva eliminate, va abrogata domani mattina. Altrimenti si consolidano tutti i suoi effetti negativi. Con l’abolizione dei minimi si era arrivati ad avere onorari pagati con 80-100 euro. Una retribuzione non sufficiente per difendere chiunque con decoro e professionalità».
Il cittadino non andrebbe difeso anche dagli onorari esosi stabiliti da una corporazione invece che dal libero mercato?
«L’avvocato si sceglie per il rapporto fiduciario, non c’entra la concorrenza. Anche l’Europa riconosce che le regole della concorrenza non si applicano quando ci sono prerogative di carattere pubblico e generale, come nel caso dell’avvocato di processo».
L’Antitrust non è d’accordo.
«Il presidente Catricalà continua a sostenere cose sbagliatissime. Si può concordare l’onorario anche a seconda dell’esito della vertenza, ma non si può scendere sotto un minimo».
Quali sono le vostre proposte?
«Di certo la riforma dell’ordinamento della professione di avvocato è urgentissima. Ci sono 230 mila iscritti all’albo che ogni anno aumentano di 15 mila. Parlare di sovraffollamento è un eufemismo. E’ necessario un accesso più rigoroso all’albo e un collegamento tra iscrizione ed effettivo svolgimento della professione. Gli iscritti alla cassa di previdenza sono 145 mila, aggiungiamo altri 15 mila tra giovani esonerati dal reddito e maternità e si arriva al numero degli avvocati reali: 160 mila».
Come funziona negli altri Paesi?
«In Francia c’è un master di orientamento post laurea per accedere alla professione. E i nuovi avvocati sono 3 mila l’anno, in un Paese con gli stessi abitanti dell’Italia. Bisogna introdurre il numero programmato all’università, è quello il rubinetto aperto».
E i giovani avvocati che annaspano in un mercato asfittico?
«Non può esistere l’avvocato low cost. Il giovane avvocato non è un impresa e non ha la forza economica per poter sostenere gli anticipi di molti processi. La legge Bersani ha favorito i grandi studi, che i minimi non li praticano del tutto. E’ proprio la parte più debole ad averne risentito. Siamo arrivati al punto di aprire i negozi in strada con la scritta “la prima consulenza è gratis”. Un comportamento sanzionato dall’Ordine, perché l’avvocato ha una sua dignità. Onorari che non bastano neanche per pagare il taxi in caso d’urgenza».
Cosa vi aspettate dall’incontro con Alfano previsto per il 15 aprile? Su cosa siete disposti a cedere?
«Il testo su cui puntavamo è stato modificato. Quindi già abbiamo derogato ad alcune richieste. Certo non ci sta bene che il ministro parli della riforma dell’ordinamento forense per il 2013. La riforma non costa niente e deve essere immediata e condivisa da tutte le parti politiche».
Altre modifiche alla legge Bersani?
«Torniamo a vietare il patto di quota lite (secondo cui il compenso dell’avvocato può essere rapportato alle somme oggetto della lite, ndr), che esiste solo nei Paesi anglosassoni e snatura il rapporto col cliente poiché l’avvocato è partecipe della vincita del processo e perde la sua indipendenza».