Dossier/Il demanio dello Stato Il governo ci riprova gara per la gestione delle spiagge Sul tavolo concessioni dai 4 ai 20 anni con poteri alle Regioni
ROSARIA TALARICO
ROMA
T ra i quattro e i vent?anni. Dovrebbe essere questo il range entro cui stabilire la durata delle concessioni per gli stabilimenti balneari. Chissà se il governo tecnico riuscirà a risolvere questo problema su cui, neanche a dirlo, c’è una diatriba aperta con l’Europa, che con una direttiva comunitaria obbliga l’Italia a mettere a gara le concessioni. Per il 23 febbraio è stata fissata una riunione a cui parteciperanno il ministro per lo Sport e turismo e con delega agli Affari regionali, Piero Gnudi, il ministro per gli Affari europei, Enzo Moavero e i rappresentanti di categoria degli operatori balneari. L’obiettivo è trovare una soluzione che sia conforme alle regole di Bruxelles «ma che non penalizzi l’industria balneare, uno degli asset del nostro turismo» spiega il ministro Gnudi. Gli operatori balneari in passato si sono dimostrati agguerriti nel difendere le loro posizioni e altrettanto hanno fatto le associazioni ambientaliste che paventano il rischio di cementificazioni selvagge delle coste. Nella nuova formulazione del decreto legislativo dovrebbero quindi essere escluse durate delle concessioni eccessivamente lunghe (90 anni equivarrebbe a un diritto quasi perpetuo) o troppo brevi (un orizzonte al di sotto dei quattro anni creerebbe difficoltà in termini di ritorno dell’investimento e anche nella concessione di mutui ai gestori degli stabilimenti). Altra novità è rappresentata dal coinvolgimento delle regioni, che hanno competenza in termini di federalismo demaniale ma che potrebbero non digerire molto l’idea di gestire questa grana senza avere una contropartita. Ed è quanto meno improbabile che lo Stato, visti i tempi di crisi, rinunci agli introiti delle concessioni in favore degli enti locali. Un cammino accidentato quello della norma sui diritti di superficie degli arenili. Durante il governo Berlusconi si è assistito a modifiche (riduzione della durata delle concessione da 90 a 20 anni, poi risalita a 40-50 anni) e marce indietro, fino ad arrivare allo stallo in cui ci troviamo tuttora. L’obiettivo era evitare una procedura di infrazione sulla direttiva Bolkestein con la soppressione delle norme del codice della navigazione che stabiliscono l’affidamento diretto e il rinnovo automatico delle concessioni demaniali, invece delle gare chieste dalla Ue. Durante il governo Berlusconi la norma era stata inserita all’interno del decreto Sviluppo, ma alla fine venne soppressa con un accordo bipartisan. Si tentò di recuperarla con la legge comunitaria 2010, ma anche in questo caso non se ne fece nulla. Ora c’è l’impegno del governo Monti a «non rinviare, ma a risolvere». Cosa che non sarà comunque facile. La mediazione con gli operatori balneari si annuncia complicata perché con il meccanismo delle aste rischiano di veder sfumare investimenti già fatti e puntano a concessioni di lunga durata. Il Wwf e altre associazioni ambientaliste puntano invece sugli enormi profitti fatti dai gestori su suolo demaniale. E ricordano come molti stabilimenti siano più simili a cittadelle recintate con piscina, palestra, sauna, ristorante, e negozi che di fatto impediscono l’accesso al mare obbligatorio per legge. Anche il coinvolgimento delle regioni è tutt’altro che scontato. È vero che le concessioni sono una leva importante per la crescita dei territori, ma lo Stato difficilmente rinuncerà a incamerarne gli introiti (secondo dati del 2009, le concessioni demaniali hanno fruttato circa 103 milioni di euro). La soluzione normativa sarebbe un decreto legislativo che lascerebbe poi alle regioni l’autonomia necessaria per gestire situazioni molto diverse tra loro (le coste della Versilia o della Liguria non sono comparabili, come «sfruttamento» e presenza di strutture balneari, ai litorali della Calabria o del Sud Italia). In Italia sono circa 25 mila le concessioni demaniali legate a poco meno di 12 mila stabilimenti balneari spalmati su 4 mila chilometri di litorale. Infatti, dei circa 8 mila chilometri di costa italiana (isole comprese), solo la metà ha le caratteristiche idonee per la balneazione.