Rosaria Talarico

"Natural born journalist"

Schiavi dei caporali per la raccolta delle clementine In Calabria 12 mila braccianti stranieri: nei campi per una paga da fame


I suoi spicchi dolci hanno aiutato a digerire i cenoni natalizi. Molto più difficile da digerire è il metodo di raccolta delle clementine, un agrume che in Calabria ha trovato un habitat ideale. Anche per la manodopera straniera che li raccoglie dalle piante per una misera paga giornaliera.
Albanesi, bulgari, romeni, ucraini, maghrebini. Le mani che permettono a questi agrumi di arrivare sulle nostre tavole sono quasi totalmente straniere. Nella zona di Corigliano Calabro, sulla fascia jonica cosentina, si producono circa due milioni e mezzo di quintali annui, pari al 60% della produzione nazionale di clementine. La raccolta si concentra in un periodo di tempo ristretto, tra ottobre e la fine del mese di gennaio. La dolcezza le clementine la hanno già nel nome, che deriva probabilmente da un frate (padre Clément, appunto) che agli inizi del Novecento in un convento in Algeria creò questo ibrido tra il mandarino e l’arancio.
Infinitamente meno dolci sono invece i metodi utilizzati da caporali e produttori che gestiscono la raccolta con lo sfruttamento e l’intimidazione. Come documenta un’inchiesta del sito «Redattore sociale»: reclutamento all’alba per le strade del paese, nella frazione marina di Schiavonea (il paese del calciatore del Milan, Gennaro Gattuso), caporalato e paghe di due tipi: 20-25 euro alla giornata oppure un euro a cassetta. Molti di loro abitano in alloggi sovraffollati affittati al triplo di quanto pagano gli italiani. Alcuni sono finiti addirittura a vivere sulla spiaggia, nelle tende e in ricoveri di fortuna. E negli ultimi mesi sono state diverse le manifestazioni razziste che hanno portato a sgomberi e scontri. Quasi un dejà-vu delle violenze che scoppiarono due anni fa a Rosarno, sul versante tirrenico, per la raccolta delle arance. «Lì la rivolta scoppiò perché non trovavano più lavoro – racconta un produttore calabrese -. I rosarnesi non raccoglievano più le arance perché la Pac, la politica agricola comune dell’Unione europea, dà lo stesso i contributi. Conveniva che le arance restassero sugli alberi».
E quando si parla di milioni di euro di fondi europei la ‘ndrangheta non può che essere presente. Così prima che i controlli si inasprissero era possibile avere i contributi non soltanto senza aranceti, ma addirittura senza essere proprietari nemmeno di un fazzoletto di terra. «La ‘ndrangheta obbligava a cedere in affitto una parte dei tuoi terreni. Ciò è accaduto quando i contributi sono stati spostati dall’industria di trasformazione ai produttori di agrumi», prosegue il titolare di una grande azienda agricola che parla chiedendo di mantenere l’anonimato. «Per aumentare i volumi si importava il succo d’arancia brasiliano che veniva nazionalizzato. Ora le proprietà sono state censite e con l’aerofotogammetria non si possono fare imbrogli, si riesce anche a stimare la quantità di frutto.
Adesso l’incentivo non è sul prodotto, ma sull’estensione dell’azienda». Il risultato è che la tradizionale coltura degli agrumi è stata quasi abbandonata. Nella zona di Rosarno si è puntato sui più redditizi kiwi. La Calabria era tra i primi produttori di arance destinate alla trasformazione industriale in succhi di frutta. «Avendo la possibilità di fare gli imbrogli, nessuno ha pensato a migliorare le varietà più consone per il consumo fresco, come ha fatto la Spagna. Così abbiamo perso completamente i mercati tedeschi, olandesi tedeschi e svedesi». La frutta per industria viene pagata 2-3 centesimi a chilo. Le clementine più pregiate arrivano a 7 centesimi e ne occorrono 8-10 per la raccolta: è anti economico.
Si stima che siano 12 mila gli stranieri che lavorano nella piana di Sibari, metà completamente in nero perché senza permesso di soggiorno. Gli altri sono iscritti all’Inps, ma vengono spesso truffati dai datori di lavoro che segnano un numero di giornate lavorate inferiore alla realtà. I contributi per la disoccupazione agricola li intascano gli italiani che stanno a casa.

Rosaria Talarico

Rosaria Talarico

Giornalista professionista, è laureata in Scienze della Comunicazione presso l'Università La Sapienza di Roma con una tesi sulle tecniche di intervista. Collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani (L'espresso, La Stampa, Il Foglio, Il Corriere delle Comunicazioni, Economy) occupandosi di vari settori. Scrive articoli di economia, finanza, cronaca, politica, esteri, media e tecnologia. Nel 2007 ha vinto la sezione giovani del premio Ucsi (Unione cattolica stampa italiana) con il reportage sul precariato nel mondo della scuola pubblicato dal quotidiano La Stampa. In passato ha lavorato per Milano Finanza (Class Editori) e il settimanale Il Mondo (Rcs), nelle redazioni di Roma e Milano. Nel 2008 ha fatto parte dell'ufficio stampa del Ministero dei Trasporti. In precedenza, sempre nell'ambito degli uffici stampa, ha lavorato per le Camere di commercio italiane all'estero e per la società aeronautica Aérospatiale Matra Lagardère Internationale (ora Eads).

Leave a Comment


*