Il redditometro è per i piccoli evasori
Rosaria Talarico
Roma
Sarà che la campagna elettorale alle porte, sarà che pagare le tasse non piace a nessuno, si tratti del popolo o dei politici. Fatto sta che il redditometro, il nuovo strumento per contrastare l’evasione fiscale appena diventato legge, raccoglie critiche e insulti a trecentosessanta gradi. «Può essere uno strumento importante, ma si concentra sulla piccola evasione – osserva Stefano Fassina, responsabile economico del Pd – servono accordi internazionali per la grande evasione. C’è un peso insostenibile delle tasse soprattutto per coloro che sono in regola con i pagamenti». Incredibilmente le parole sono quasi le stesse usate dall’altra parte politica, con il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri che descrive gli italiani “tartassati oltre ogni limite e adesso anche spiati e limitati nella libertà personale” aggiungendo che con il redditometro “si instaura uno Stato di polizia fiscale, che finirà con il colpire solo i cittadini onesti, che dichiarano i redditi e pagano le tasse ma nulla fa contro gli evasori totali, di fatto invisibili al fisco”. Il direttore dell’Agenzia delle entrate, Attilio Befera prova anche a difendere il redditometro con una lettera pubblicata ieri dal Corriere della sera, che però incassa subito la replica a muso duro del direttore Ferruccio de Bortoli «Se il tasso di suscettibilità che traspare è misura della serenità e dell’equilibrio con cui l’Agenzia opera e dialoga con i contribuenti, c’è di che preoccuparsi». Befera nella lettera rifiuta parallelismi con gli Stati di polizia caratterizzati «dall’assoluta segretezza che ammanta le procedure con cui le autorità di quegli Stati operano». E invece il redditometro serve per individuare casi reali di “spudorata evasione fiscale”, per citare un’espressione utilizzata da Giorgio Napolitano nel suo discorso di fine anno. Befera respinge anche al mittente le accuse di volere colpire la ricchezza e i suoi simboli: “Il gettito è tanto più alto quanto più i cittadini guadagnano ed è assurdo quindi che il fisco intenda combattere la ricchezza. Semmai è vero il contrario”. Una difesa d’ufficio, per quanto appassionata, che cade nel vuoto. “Strumento di tortura fiscale” lo definisce senza mezzi termini il senatore Pdl Alessio Butti. Mentre il capogruppo al Senato di Fratelli d’Italia – Centrodestra Nazionale, Alessandra Gallone ricorda come continuino a passare sotto silenzio «i vergognosi patteggiamenti del fisco italiano con le banche (Monte dei Paschi di Siena e Banca popolare di Milano) e si preferisca condannare il piccolo contribuente, magari colpevole di essersi fatto aiutare dal nonno per pagare le rette universitarie del figlio, oppure per aver effettuato donazioni alle Onlus». Meno drastico il presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, Maurizio Leo. Da un lato sostiene che il nuovo redditometro vada «maneggiato con cautela, per evitare che diventi uno strumento oppressivo per il contribuente». Dall’altro «coglie nel segno e va sicuramente utilizzato da parte dell’amministrazione, per contrastare l’evasione di massa». E il fatto che l’onere della prova spetti al contribuente non è «un caso di barbarie giuridica» conclude Befera perché «nessuno, più del contribuente stesso, può sapere come stiano effettivamente le cose». Resta da vedere quanta voglia abbia di andarle a raccontare al fisco.