Un’indagine dei direttori del personale Internet? Meglio che lavorare Più della metà degli impiegati va sul web solo per scopi personali
Un dipendente su due usa il computer dell’ufficio per scopi personali. Più
della metà delle aziende non effettua controlli sull’uso di internet e della
posta elettronica. Ma da un consistente 41% di imprese che invece fa
verifiche salta fuori che più della metà dei dipendenti (il 56,41%) utilizza
la rete per svago o, comunque, per motivi non connessi al proprio lavoro. Lo
rivela una ricerca del Gidp (Gruppo intersettoriale direttori del
personale), un network di circa duemila direttori delle imprese
medio-grandi, quelle con più di 250 addetti e che in Italia sono 3.500).
Dietro il vetro smerigliato
Ma nel rapporto, a volte conflittuale, che lega rispetto della privacy ed
esigenze di controllo da parte delle aziende si va anche oltre. Per evitare
che i dipendenti si attardino alla toilette, qualche azienda ha pensato di
mettere nei bagni porte di vetro smerigliato (attraverso cui non si
riconosce la persona, ma la sagoma è ben definita). Non un vezzo concesso al
design, ma un accorgimento per diminuire la permanenza in bagno, confidando
sul senso di vergogna. Forse un caso interessante da sottoporre al Garante
per la protezione dei dati personali che ieri ha presentato la sua relazione
annuale. Se il presidente Francesco Pizzetti auspica una più stretta
collaborazione con le aziende per aspetti delicati come la navigazione in
Internet dei dipendenti, la risposta degli addetti ai lavori è quantomeno
seccata. Perché dietro la parola «collaborazione» si annidano in realtà
nuovi adempimenti.
La Borsa in ufficio
«La relazione mi ha stupito, con tutti i problemi che abbiamo – afferma
senza giri di parole Paolo Citterio, presidente di Gidp – Ma lo sa che un
imprenditore perde 24 giorni all’anno per motivi burocratici, che altrove
non ci sono?». Per non parlare del tempo che perdono i dipendenti.
Citterio lo ha sperimentato in prima persona. «Qualche mio collaboratore
dell’area finanza mi propose candidamente di giocare in borsa via internet
segnalandomi dei titoli», racconta. «Ho scoperto così che facevano trading
online dall’azienda. La mia risposta è stata che gli avrei fatto un richiamo
scritto se avessero continuato», spiega.
Il privacy officer
L’affondo di Citterio prosegue sull’idea lanciata dal Garante di prevedere
presso le aziende una figura specifica, quella del privacy officer, per
occuparsi del trattamento dei dati e dei rapporti con lo stesso Garante. «E’
un po’ come il direttore per la responsabilità sociale», continua
sarcastico. «Alla fine è un ulteriore aggravio per l’azienda, un onere non
da poco visto che un quadro o un dirigente arrivano a costare all’impresa 75
mila o 145 mila euro. E’ la classica soluzione onerosa rimandata al
mittente». Una soluzione alternativa, secondo Citterio, sarebbe affidare
l’incarico a qualcuno già presente in azienda, magari abbinandolo a un’altra
funzione. «E’ importante – conclude – non violare la privacy dei dipendenti,
le rappresentanze sindacali ricevono circolari in cui si dice che i clienti
devono attenersi agli scopi lavorativi e comunichiamo la possibilità che
vengano fatti dei controlli a campione».